Il 17 aprile proiezione del film-documentario sul rastrellamento del 1944
Gli appassionati di escursionismo conoscono certamente la Val Grande, le sue cime e i suoi sentieri, famosi per la bellezza del paesaggio e per essere inseriti in uno dei parchi nazionali più suggestivi e selvaggi d’Italia e d’Europa. Queste montagne, meta tra le più gettonate di trekker da tutta Europa, sono il luogo ideale per contemplare la bellezza della natura. Ma la val Grande non è solo questo: chi frequenta questi luoghi non può ignorare i numerosi segni della sua storia, di quella degli alpigiani che un tempo la abitavano, dei boscaioli, e soprattutto di quella storia che ha disseminato di croci e lapidi le cime, gli alpeggi, i passi e i sentieri utilizzati durante la II Guerra Mondiale. La val Grande infatti è stata l’arena di uno dei più oscuri capitoli della “guerra di resistenza” che ha visto scontrarsi formazioni partigiane e nazifasciste. In particolare si ricordano i circa 20 giorni di rastrellamento (12-30 giugno del ‘44) organizzato dai tedeschi, che portarono ad un vero e proprio massacro (più di 550 morti sui due fronti) . Nei luoghi dove sono accadute cose indicibili, spesso ci rechiamo con leggerezza, ignorando quello che è accaduto, e senza percepire il carico di questa storia che non andrebbe dimenticata.
Il 17 aprile presso la sala polivalente Giovanni Paolo II, la sezione CAI Somma con il supporto dell’amministrazione comunale, propone la proiezione del film documentario ValGrande44 di Stefano Certutti, un’interessante digressione che racconta la storia del terribile Rastrellamento Nazifascista avvenuto tra le montagne dell’attuale parco Nazionale della val Grande. Nel documentario grazie alle suggestive riprese fatte dal regista, riconosceremo alcune delle arene più belle dell’escursionismo ossolano: il Monte Zeda, il Pedum, la valle Pogallo, i villaggi di Cicogna e Finero. Le immagini, intervallate da preziose testimonianze storiche, ci forniranno un chiaro panorama delle vicende, affinché escursionisti ed appassionati siano in grado di inquadrare i fatti, riconoscere i luoghi, e dare una lettura nuova al paesaggio montano, che affianchi al valore della sua bellezza naturalistica anche quello della sua terribile storia.
Dopo l’armistizio dell’Italia, proclamato dal generale Badoglio l’8 settembre 1944, iniziò la lenta liberazione della penisola ma anche la fase più cruenta della guerra. L’Italia era nel caos, iniziò la feroce occupazione Nazista e si rinforzarono gruppi più o meno organizzati di volontari e fuggiaschi che si armarono contro il nemico tedesco. L’arco alpino e le zone montuose della penisola rappresentavano l’ideale rifugio di questi gruppi. Per questo motivo fu in montagna che si verificarono alcune delle più sanguinarie rappresaglie. L’11 giugno del 1944 migliaia di militari dell’esercito tedesco, di SS e di soldati fascisti circondarono l’area della Valgrande. L’obbiettivo era colpire le formazioni partigiane che qui si nascondevano (circa 500 uomini), anche come atto punitivo per una rappresaglia partigiana avvenuta qualche giorno prima, dove furono fatti prigionieri circa una cinquantina di nazifascisti.
Iniziò così un pianificato rastrellamento che prevedeva l’accerchiamento, l’individuazione, e l’eliminazione dei gruppi partigiani che qui avevano stabilito i loro covi. L’attività nazifascista si concluse il 30 giugno, dopo aver accerchiato l’intera area dell’attuale parco, intrappolato e ucciso più di 300 partigiani, distrutto decine di alpeggi, rifugi e piccoli insediamenti. Il culmine delle vicende fu nelle esecuzioni pubbliche, progettate e finalizzate a diffondere il terrore nella popolazione (tra questi si ricordano in particolare gli eccidi di Pogallo, Fondotoce, Baveno e Finero). L’azione di rastrellamento decimò in 20 giorni le tre formazioni che si nascondevano in Val Grande: la Brigata Valdossola, una formazione “apolitica” che vedeva tra gli arruolati anche molti giovani dell’Alto Milanese, la Brigata Cesare Battisti, e la Giovane Italia. Ma nonostante le drammatiche vicende, dopo tali avvenimenti le forze partigiane non si esaurirono: i sopravvissuti si riorganizzarono in una nuova divisione chiamata Martiri della ValGrande, che sarebbe stata protagonista nelle vicende che portarono alla liberazione un anno dopo.