Una tradizione che i nostri nonni hanno voluto far rivivere dopo la Grande Guerra fu quella dei pellegrinaggi al Sacro Monte di Varese. Un appuntamento di fede e preghiera. Una grande festa nata secoli addietro la cui partecipazione fu bruscamente interrotta dal primo conflitto mondiale. I grandi carri che erano d’uso per i lavori agricoli erano stati predisposti per il viaggio. Panche della chiesa e tendoni che li coprivano avrebbero ospitato i pellegrini. Già da giorni si erano raccolte le offerte per le cappelle, e il sabato alle 22 tutti i partecipanti si erano ritrovati a San Bernardino pronti per partire.

Guidava e organizzava Don Luigi Mezzera. Le confraternite, presumibilmente, quelle di S. Vito, S. Bernardino e San Rocco, erano una nota di colore con le loro vesti, gli stendardi e gli addobbi Sacri che rendevano tutto più solenne, nonostante l’impegnativo pellegrinaggio che vedeva giungere la comitiva alla meta solo il mattino dopo all’alba. Alcuni sommesi preferivano prendere il treno da Gallarate e giungere alla Prima Cappella per unirsi ai concittadini già arrivati. I cavalli erano posti al ristoro e dopo una pausa si partiva per una sosta a tutte le Cappelle.

L’incontro prima della Messa era alla statua del Mosè. Il pomeriggio era di svago, di piccoli ricordi, souvenir dell’epoca. I venditori esponevano la merce sulle bancarelle lungo la via Del Rosario. Mia zia mi raccontò che da bambina ebbe a ricevere in regalo un Giruméta , un pupazzo di pane, benedetto quello stesso giorno e ornato da una lunga piuma che la incuriosiva. Sua madre lo pose sopra il focolare e spiegò che rappresentava un soldato francese, sullo stile di Napoleone portava una grossa piuma. Ne vendevano tanti e c’era chi girava di casa in casa, tra i pellegrini con questi pupazzetti di varia foggia, rappresentanti Madonnine, soldati, bambini ed erano ornati con piume, nastri e pietre colorate. Quello della zia aveva al posto degli occhi due pietrine azzurre. Fu posto sulla mensolina del camino, vicino alla bambolina bianca di granoturco, la stessa bambolina che rappresentava la Signora della natura che benediva i campi all’inizio di Febbraio.

Spesso due temi definiti Sacri si fondevano nell’ innocenza della magia di un tempo, quando anche solo un umile pezzo di pane, colorato di fantasia, si vestiva delle tinte delle fiabe. I bambini di casa volevano assaggiare questo strano pane, ma l’idea della piuma li faceva desistere, e poi era un portafortuna, da conservare lì dove la mamma l’aveva sistemato. Durante la notte, quando tutti dormivano la nonna preparò tanti pupazzi, con acqua, sale fine fine e farina, uno per ogni bimbo di casa, ornato da uvetta. Una gioia per la colazione della mattina dopo. Unica variante lo zucchero al posto della piuma, certamente non una Giruméta autentico e benedetto ma il pensiero soave di una mamma di altri tempi…

Fonti: racconti della mia infanzia- Somma Lombardo da borgo antico a città moderna di A. Rossi

 

A cura di: Briante Cesarina