La prova di vita di una madre a tu per tu con la disabilità: ecco il suo racconto
Ti ritrovi seduta sul coperchio del water con il test in mano e in quei pochi minuti sei già arrivata a immaginarti la festa di laurea del bimbo che speri di aspettare. Poi il sogno si avvera, la barretta si colora e corri subito a dirlo a colui che ha contribuito a questo miracolo.
Il tempo scorre veloce, tutto sembra andare bene. Sì è vero, ad una visita hanno detto che la circonferenza cranica è leggermente più piccola, ma la ginecologa ci ha subito tranquillizzati “è dovuto solo alla posizione del bimbo, già rivolto verso il canale d’uscita”.
Arriva il parto, tutto regolare, ma durante la giornata qualcosa non va per il verso giusto. Ci chiama il pediatra “il bambino è ipotonico e non mangia…” Io non so neanche cosa voglia dire ipotonico e così devo chiedere e inizio a fare domande che non avrei mai voluto fare e non capisco le risposte perché non sono attenta, perché non capisco, perché sto ancora pensando alla festa di laurea di mio figlio.
Iniziano una serie di visite e consulti di medici autorevoli e, alla fine, ti mandano al Besta di Milano, un’eccellenza. Sì, ma un’eccellenza per cosa visto che ancora non abbiamo capito cosa è successo al nostro bambino?
Siamo in un luogo pazzesco, stanze da 2/3 posti o stanze singole per i casi più gravi. Le infermiere cercano di farti sembrare tutto meno drammatico e io piango mentre ci spiegano cosa succederà in quella settimana di ricovero. Inizi a guardarti in giro e vedi bambini che sembrano “normali” e casi veramente gravi e l’unica cosa che pensi è “per fortuna mio figlio non è messo così male”.
Esami, prelievi, il tempo passa lento…sono bambini, fanno un solo esame al giorno per non traumatizzarli quindi il tempo sembra non passare mai. Poi arriva il giorno delle dimissioni. Oggi sono passati quasi 18 anni, ma mi ricordo ancora la stanza, la scrivania e il camice bianco della dottoressa. Parla, parla, cecità, epilessia, paralisi, mi perdo, non capisco. C’è una cura? “Purtroppo signora, è capitato a voi, ma poteva capitare a chiunque”. Perché a me...perché a lui…
A un certo punto capisci che non devi mollare, che lo devi a lui che hai voluto con tanto amore e allora inizi mille percorsi per capire se sei più forte tu o la malattia: piscina, fisioterapia, logopedia, musicoterapia e ippoterapia. Ti accorgi che non è cieco, che a 5 anni inizia a camminare, che si tuffa in acqua e va a cavallo, che dice qualche parola e capisce tante cose. Chissà dove arriveremo…
Ma non è un percorso in discesa, gli ostacoli sono tanti, sembra che la vita si diverta a metterti alla prova.
Poi c’è la burocrazia che sa essere difficile quanto una malattia. Francesco all’asilo non cammina ancora, non c’è il parcheggio disabili, devo portarlo in braccio. Chiedo il parcheggio per agevolarmi l’ingresso, ma bisogna aspettare il bando, che vinca la società che deve ridefinire le strisce in città e faranno anche il parcheggio…faranno… Ci sono genitori meravigliosi in classe di mio figlio, vanno in comune, si offrono di comprare loro la vernice arancione e fare il parcheggio; non si può, c’è una procedura, un protocollo, una legge.
Di persone meravigliose ne ho incontrate tante. L’insegnante che, a sue spese, ha fatto costruire un fasciatoio con scaletta per aiutare Francesco nei cambi e l’insegnante che lo ha accompagnato, donando il suo tempo, in un percorso di catechismo per permettere a Francesco di fare Comunione e Cresima con i suoi compagni. I compagni di scuola di Francesco che hanno colto la sua diversità e l’hanno trasformata in un valore aggiunto. La sua baby sitter che appena può se lo carica in macchina e lo porta a vedere gli aerei che decollano o a dare i crackers alle papere; o la sua maestra dell’asilo che viene a trovarlo ancora adesso che lui è quasi maggiorenne perché, come dice lei “Francesco ti resta nel cuore”.
Lui intanto migliora. Sempre con mille difficoltà. Qualche piccolissimo traguardo lo ha raggiunto: scuole elementari, medie e un biennio alla scuola di agraria con la serra, piante e semi a sua disposizione.
Poi, riecco la burocrazia; c’è un posto in un centro disabili per adulti, ma deve lasciare la scuola per risorse limitate… e allora scegli, pensi, speri di fare la cosa giusta per lui e ancora una volta ce la fai e lui è fantastico e si adegua a tutto col suo sorriso e la sua risata contagiosa.
Sono passati quasi 18 anni e avrei voluto vedere la tua festa di laurea, ora mi accontento di vedere quando riesci a toglierti le scarpe o a dirmi che hai sete e mi insegui col bicchiere in mano. Nessuno dovrebbe vivere tutto questo… poi ti sento ridere mentre guardi Topolino e per un po’ il cuore smette di piangere e ride con te.