Sono stati mesi faticosi, per tutti. Se il virus non è visibile, gli eventi stressanti sono invece sotto i nostri occhi. Il lavoro in smart working, le richieste dei figli, la lontananza dai cari.
Fioccano da ogni parte consigli di esperti. Ma diciamocelo, nessuno di noi esperti, anche chi ha più competenze di psicologia dell’emergenza, è stato formato per affrontare una pandemia; in cui, peraltro, siamo noi stessi coinvolti.
Abbiamo contattato la nostra vulnerabilità, l’umana incapacità di avere il controllo di tutto.
Nella vita può esserci già accaduto di fare i conti con imprevisti dolorosi, il senso di impotenza e la necessità di riorganizzare il pensiero e le risorse giorno per giorno. Per andare avanti, per non lasciarci sopraffare.
Ognuno di noi ha delle risorse. Dopo anni di lavoro, a due cose non mi abituo: al dolore delle persone e alle risorse che le stesse possono rinvenire in sé, o sviluppare. A volte si riesce a farlo da soli, altre serve un aiuto. Familiare, amicale o professionale.
Tutti abbiamo bisogno d’aiuto, in alcuni frangenti. Penso sia bene riconoscerla, questa necessità, senza giudizio. Ché il giudizio ci porta spesso lontano dal sentire genuino, dal contatto con i nostri bisogni più veri.
Io riemergo da questa quarantena con le tasche vuote di consigli di efficacia certa.
Frugo in quelle tasche e trovo un fiore. Il fiore che Vera, la mia piccola vicina di casa, ha depositato un giorno davanti alla mia porta. Il suo dono per me, spontaneo e gratuito.
*Psicologa Psicoterapeuta presso l’Istituto Ipse