L’omelia in occasione della Festa patronale di Sant’Agnese durante la celebrazione 18 gennaio
Un grande sociologo, da poco scomparso, definiva la condizione dell’uomo post-moderno usando la metafora del “turista”. Veniamo tra l’altro dal periodo delle feste natalizie, durante le quali milioni di persone sono andate fuori casa, anche in posti lontani.
Il turista – afferma questo studioso – vive un tempo senza durata, passando da un luogo all’altro per soddisfare la propria curiosità, il suo divertimento, la sua voglia di vivere e il suo desiderio di accumulare esperienze. Il turista paga per questa sua libertà, compra il pacchetto “tutto compreso” e non si mescola con i residenti, se non per uno scatto fotografico. Per lui il tempo è rotto, è vuoto e lo riempie di momenti senza continuità e senza scopo; così da portare a casa una interminabile serie di attimi slegati uno contro l’altro, ma privi di passato e vuoti di futuro.
Forse anche noi, pur senza accorgercene, viviamo così: perdendoci nell’ambiente che ci circonda, stando di fronte al mondo come davanti ad un oggetto producibile. In questo modo, però, smarriamo il senso della continuità del tempo, acceleriamo le ore e ne perdiamo la durata, riducendo il futuro al vuoto prolungamento del presente.
Si potrebbe osservare, a questo punto, che altri sono oggi i motivi della perdita del futuro: l’incertezza per il domani, la mancanza di sicurezza del lavoro, la fluidità delle relazioni tra le persone con in testa la crisi delle famiglie e molto altro ancora. Tempi difficili i nostri, segnati da tante preoccupazioni.
Coloro che hanno vissuto prima di noi, in tempi altrettanto difficili, non mancavano di futuro, perché vivevano agganciati al passato e pieni di tensione verso il nuovo che era tutto nelle loro mani. Bastava perciò attrezzarsi e ricominciare con fiducia accresciuta.
Anche noi, oggi, siamo chiamati a riprenderci il significato del tempo, l’esperienza della sua durata, della sua completezza misurata dal senso delle cose, dal valore delle relazioni, dal rispetto per ciò che accade nel bene e nel male.
Il nostro Arcivescovo Mario Delpini, nel suo intervento per la Festa di Sant’Ambrogio del 6 dicembre scorso, si esprimeva così: “Benvenuto futuro. Perché sempre a ogni uomo e donna sono date la possibilità e la responsabilità di ricominciare… Lo sguardo cristiano sul futuro non è una forma di ingenuità per essere incoraggiati per partito preso: piuttosto è l’interpretazione più profonda e realistica di quell’inguaribile desiderio di vivere che, incontrando la promessa di Gesù, diventa speranza… Non è il futuro il principio della speranza; credo piuttosto che sia la speranza il principio del futuro”.
E’ in nome di questa speranza, scaturita dalla luce del Natale, che mi pare importante richiamare alcune preziose indicazioni per il nostro cammino (…).
1° Alimentiamo lo spirito missionario.
La prima missione di ogni cristiano consiste nell’annuncio del Vangelo nella sua stupenda semplicità; un annuncio gioioso – come ci ricorda Papa Francesco in Evangelii Gaudium: “Non c’è nulla di più solido, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio”. E’ un annuncio di amore per ogni uomo, come diceva don Primo Mazzolari: “L’Amore non è colui che dà, ma colui che viene e che può nascere in una stalla e morire sul Calvario perché mi ama” (…).
2° Facciamo crescere la spiritualità dell’unità.
In questo nostro tempo, segnato dai particolarismi e dall’allentamento dei legami, ci può essere la tentazione di andare ciascuno per la propria strada, sia come Chiesa che come comunità civile. Sappiamo che un corpo è vivo, se tutte le membra cooperano tra loro; nessun membro può vivere da se stesso. E’ necessario far maturare, nel tessuto delle comunità, una spiritualità dell’unità, il cui cuore conduce a parlarsi con chiarezza e trasparenza… Chi dialoga non è un debole, ma all’opposto è una persona che non ha paura di confrontarsi con l’altro.
3° Favoriamo una cultura della carità.
E’ la cultura dell’incontro, che si contrappone alla cultura della paura, dello scarto, della divisione. I poveri, anche se non fanno notizia, ci lasciano intravedere il volto di Cristo. Cito ancora una frase di don Mazzolari, che mi ha colpito: “Non avrei mai pensato che in terra cristiana – con il Vangelo che incomincia con ‘Beati i poveri’ – il parlar bene dei poveri infastidisse tanta gente, che pure è gente di cuore e di elemosine”.
Andare verso i poveri, invece, è una questione che investe la fede e che si riflette nel modo di vivere la Chiesa, la vita cristiana. Noi abbiamo il compito – e non certo per motivi sociologici e morali – di andare verso i poveri per una missione dichiaratamente evangelica.
(…) Piuttosto che continuare ad essere dei turisti, in preda al desiderio smanioso di catturare il mondo, possiamo allora impegnarci ad essere dei “pellegrini” coraggiosi, verso una meta solo intravista che il Signore ha preparato per noi; abbracciando la realtà e amandola così com’è, ma desiderandola come dovrebbe essere.
Concludo con questa forte espressione del Card. Newman: “Non aver paura che la vita possa finire; abbi invece paura che non cominci mai davvero”.
Sant’Agnese, vergine e martire, ci illumini e ci assista in questo cammino verso il futuro che Dio ha preparato per ciascuno di noi. Ecco perché dico: benvenuto futuro!