L’evidente necessità di un cambiamento radicale
Dopo saremo davvero migliori? In verità questa drammatica situazione dovrebbe obbligarci a rivedere i nostri atteggiamenti o per lo meno indurci a riflettere su molte questioni, da quella esistenziale a quelle più pratiche. La pandemia ha infatti evidenziato la nostra fragilità e ha messo a nudo come l’ipotetica supremazia dell’Uomo sulla Natura sia palesemente effimera. Il Covid (che guarda caso ha colpito solo gli Umani), ci ha infatti rammentato che non siamo i padroni della Terra, tant’è che un microscopico elemento può, da un giorno all’altro, mettere in discussione il nostro presunto dominio e obbligarci a modificare le nostre abitudini, il nostro modo di vivere. Cogliere l’intrinseco richiamo portatoci dalla pandemia dovrebbe dunque consentirci di ritrovare il senso ultimo dell’esistenza, di prendere atto della necessità di un maggior rispetto del pianeta e di tutti gli esseri che lo popolano, nonché di riscoprire il valore della solidarietà e della condivisione. Sapremo davvero cambiare in tal senso i nostri stili di vita? Difficile dare una risposta, ma non vediamo alternative alla speranza che il duro monito inflittoci da questa situazione renda tutti più consapevoli della nostra precarietà e quindi della necessità di ripensare il nostro modo d’essere, personale e collettivo. Questo cambiamento non può certo prescindere anche da un diverso approccio ai temi socio-economici. L’attuale sistema mondiale si regge infatti su diseguaglianze inaccettabili, frutto del divario scandaloso tra i pochi possessori della ricchezza che hanno più del tutto e la moltitudine dei tanti che possiedono meno del niente. E la pandemia sta allargando ancor di più questa forbice. Se nei Paesi del ricco occidente ampi strati del ceto medio sono stati colpiti dalla precarietà economica, se non dalla povertà, è ben immaginabile come in altri stia aumentando la miseria. Purtroppo sono gli stessi Paesi in cui la stragrande maggioranza della popolazione è già, da sempre, afflitta da carestie, fame e guerre che rendono l’esistenza una sfida sovente impossibile da vincere. E se nella nostra Europa la vaccinazione di massa va a rilento, in quei Paesi forse neppure partirà, anche perché le aziende produttrici non rinunciano certo ai loro profitti e vendono il vaccino agli Stati che hanno il denaro per pagarlo. In pratica non solo la ricchezza è sempre più accentrata in poche mani, ma addirittura la salute, che dovrebbe essere un diritto universale e inalienabile, è sempre più una “merce” usufruibile solo da chi ha la possibilità economica di acquistarla. E così di fatto la vita dell’Uomo viene ancor più sottomessa alle “ferree regole del mercato” imposte da una inumana economia che consente il profitto di pochi sulla pelle dei molti. È dunque evidente l’esigenza di un cambiamento che attenui le diseguaglianze, che ricomponga la divisione fra fratelli e fratellastri. È su questi temi che dovremmo riflettere e sui quali soprattutto la politica dovrebbe tarare il proprio impegno al servizio del cosiddetto bene comune.
Consentiteci infine un’ultima considerazione che ci riguarda da vicino. Il conferimento alle Regioni delle competenze sanitarie ha dimostrato vistosi limiti e inefficienze. La spinta alla privatizzazione (in molti casi agevolata da finanziamenti pubblici, non sempre leciti) ha di fatto indebolito il sistema sanitario pubblico, minando a volte il sacrosanto diritto alla salute. Non solo. Durante questo triste periodo è emerso con chiarezza che, in assenza di una gestione unitaria, ogni Regione ha affrontato la pandemia con approcci diversi, talvolta addirittura contrastanti, creando di fatto un sistema a macchia di leopardo complessivamente poco efficace. Rivedere questa scelta (a suo tempo introdotta sulla emotiva spinta di un astruso federalismo) e rilanciare la presenza sul territorio della Sanità Pubblica dovrebbero quindi essere due precisi punti da inserire nella agenda del confronto politico.