Cambiare la Costituzione può essere un segno di crescita

 

Con buona probabilità, tra il mese di ottobre e quello novembre, gli italiani saranno chiamati a votare per approvare o respingere il pacchetto di riforme costituzionali approvato dal governo Renzi. Nei mesi appena trascorsi, il dibattito si è fatto acceso su tutti i fronti, molto più di quanto si potesse ipotizzare quando, il 18 gennaio 2014, col Patto del Nazzareno si diede il via al percorso riformatore. Se vincerà il Si cambieranno molte cose. La Camera, che manterrà gli attuali 630 deputati eletti con suffragio universale, vedrà il suo Presidente diventare la seconda carica dello Stato, sarà l'unica camera a votare la fiducia e promulgherà le leggi senza il riscontro del Senato. Quest'ultimo sarà ridotto, passando dagli attuali 321 senatori a 95 componenti, dei quali 21 sindaci e 74 consiglieri regionali scelti dagli elettori. Niente più il ping pong parlamentare per l'approvazione delle leggi, maggiore velocità ed efficienza e tempi certi per le discussioni in aula delle proposte di legge di iniziativa popolare. Esaurita l’attuale fase, gli unici senatori a vita saranno i presidenti della Repubblica emeriti, mentre i senatori nominati rimarranno in carica 7 anni.

Cambierà anche la composizione della Corte Costituzionale, che potrà essere consultata in forma preventiva sulla legge elettorale prima che sia approvata. Cambiano anche i regolamenti parlamentari, cosicché, i decreti legge saranno depotenziati rispetto all'attuale ordinamento, in modo da consentire al Parlamento di esercitare più profondamente la sua funzione. Anche il Titolo V è modificato e molte competenze tornano in capo allo Stato dopo essere passate alle Regioni nella precedente riforma. Vengono cancellate dalla Costituzione le Provincie che spariranno definitivamente, così come il Cnel. Cambiano le regole anche dei referendum: al raggiungimento delle 800.000 mila firme raccolte, il quorum si calcola sui votanti; infine sono introdotti i referendum propositivi.

Non è questo lo spazio per far propaganda al Si, ma piuttosto un’occasione di riflessione con i cittadini. Il percorso delle riforme è stato proposto a tutte le forze politiche. Alcune hanno immediatamente declinato l’invito, altre hanno partecipato attivamente. Il rammarico è constatare che oggi, chi propaganda il No, ha contribuito fattivamente a mettere nero su bianco le riforme costituzionali che il Parlamento ha già approvato. Se andavano bene prima, perché ripudiarle oggi? Viene invocata come motivazione la mancata condivisione dell’elezione del Presidente della Repubblica e della legge elettorale. Ma si stratta di due passaggi che non erano contemplati dagli accordi.

L’Italia ha necessità di uscire dalla palude in cui è finita. Bisogna cambiare, scardinare un sistema che non permette di liberare le migliori energie. Le riforme, per le quali ci si esprimerà a breve, sono un passo importante verso il cambiamento. L’esperienza poi, dirà se sarà necessario perfezionarle, modificarle e farle evolvere. Ogni cosa è perfettibile. Ma pensiamo sia utile andare oltre. I fatti ci inducono a domandarci se le forze politiche, chiamate a partecipare al cambiamento della nostra società, a costruire il futuro, siano adeguate alla missione.  Ci sono uomini di valore in ogni partito, portatori di idee e valori. Ma negli ultimi anni, l’insieme degli uomini e delle donne che compongono le forze politiche non sono riusciti a cambiare in modo sostanziale le sorti del Paese. È quindi arrivato il momento di abbandonare posizioni di parte e di lasciare il futuro ai legittimi proprietari, i nostri figli. Ribaltiamo la situazione di immobilismo in cui ci troviamo. Comunque la pensiamo. Con fiducia in tutti noi.

 

A cura di: Partito Democratico